22 set 2020

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SENTENZE | 18137/20 Sul criterio di priorità delle misure di protezione




Il tema delle misure di protezione è un argomento sempre molto attuale quando andiamo ad analizzare le sentenze della giurisprudenza dedicata a Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro.

Oggi vediamo la Sentenza 18137 dell'agosto 2020 che analizza il criterio di priorità delle misure di protezione collettiva nei luoghi di lavoro rispetto a quelle individuale.

Il fatto riguarda la richiesta di risarcimento da parte di un padre esercente la potestà sul figlio minore il quale perdeva la vita dopo essere precipitato da un'altezza di dodici metri mentre si trovava sul tetto di un capannone industriale durante l'esercizio delle proprie funzioni.

La Corte di appello ha rilevato che il lavoratore era stato dotato di adeguati e efficienti dispositivi di protezione individuale, questi individuati in cintura e imbragatura, nel rispetto delle indicazioni per la protezione dal rischio di caduta dall'alto. In più si evidenziava nella condotta dell'infortunato un comportamento imprevedibile e azzardata in quanto si riteneva che lo stesso si fosse sganciato dalla linea vita di ancoraggio.

Avversi a tale sentenza, gli eredi hanno proposto ricorso adducendo sostanzialmente la mancata adozione di misure di protezione collettiva e l'errata priorità di tali misure rispetto a quelle individuali.

Secondo i ricorrenti, infatti, “sarebbe stata possibile l'installazione di misure anticaduta di tipo collettivo sicure e compatibili con il contesto lavorativo, a fronte di norme che impongono al datore di lavoro, e comunque ai garanti della sicurezza, di tutelare l'integrità fisica e morale del lavoratore, adottando la massima sicurezza tecnologicamente possibile ed escludendo la loro responsabilità solo in presenza del caso fortuito.”

Viene evidenziato, inoltre, che anche imputando all'infortunato “disattenzione o negligenza nello svolgimento della propria attività, non avrebbero potuto i soggetti garanti della sicurezza in cantiere andare esenti da responsabilità, non essendo l'infortunio, così come si era verificato, né imprevedibile né inevitabile, e che l'osservanza delle norme di prevenzione avrebbe consentito di evitarlo, anche nel caso di un'eventuale imprudenza del lavoratore.”

Tanto che “disattenzione, la negligenza o l'imprudenza del lavoratore non possono mai assurgere a causa esclusiva dell'evento in presenza di un'omissione antinfortunistica da parte del garante della sicurezza”

La Corte di Cassazione rileva che “L'art. 15 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 elenca le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e, tra di esse, al comma 1, lettera i), stabilisce che sia assegnata "priorità" alle "misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale". In correlazione con tale disposizione l'art. 75 ("Obbligo di uso") del medesimo decreto prevede che i dispositivi di protezione individuale (DPI) "devono essere impiegati quando i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti da mezzi di protezione collettiva" (oltre che mediante il ricorso a "misure tecniche di prevenzione" e a "misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del lavoro"). Il successivo art. 90 ("Obblighi del committente o del responsabile dei lavori") prevede, al comma 1, che "Il committente o il responsabile dei lavori, nella fase di progettazione dell'opera, ed in particolare al momento delle scelte tecniche, nell'esecuzione del progetto e nell'organizzazione delle operazioni di cantiere, si attiene ai principi e alle misure di tutela di cui all'articolo 15". L'art. 111 del decreto ripropone poi, al comma 1, lettera. a), per i lavori da eseguirsi "in quota", il criterio della "priorità" delle misure di protezione collettiva rispetto a quelle individuali; e, al comma 6, prevede che "il datore di lavoro nel caso in cui l'esecuzione di un lavoro di natura particolare richiede l'eliminazione temporanea di un dispositivo di protezione collettiva contro le cadute, adotta misure di sicurezza equivalenti ed efficaci [...]. Una volta terminato definitivamente o temporaneamente detto lavoro di natura particolare, i dispositivi di protezione collettiva contro le cadute devono essere ripristinati".”

In buona sostanza, la Corte rileva che in materia di sicurezza sul lavoro, il criterio di priorità delle misure di protezione collettiva nei luoghi di lavoro rispetto a quelle individuale ha carattere diffuso e si estende anche a lavorazioni specifiche come quelle “in quota”.

Quindi, in parziale accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto (terzo, quarto e quinto assorbiti) e rinvia alla Corte di appello.

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