31 mar 2020

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SENTENZE | 2020-10123 Vigilare sulle prassi Contra Legem




Come ben sappiamo, il datore di lavoro ha l'obbligo di vigilare al fine di contrastare e di impedire le prassi “contra legem” e, in caso contrario, qualora si verificasse un infortunio, lo stesso datore di lavoro risponde di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche.

Nella sentenza che andiamo ad esaminare oggi un datore di lavoro richiede che venga confermata la sentenza impugnata che lo assolveva dal reato del codice penale per aver cagionato la morte di un proprio dipendente dopo essere stato colpito dal movimento di una benna.

Il giudice di primo grado aveva condannato il datore di lavoro ritenendolo responsabile dell'omessa vigilanza sul rispetto del divieto di avvicinarsi all'escavatore durante i lavori di scavo.

Nella sentenza di appello, invece, veniva riconosciuta nella figura del preposto la responsabilità di colui il quale aveva imposto l'ordine di scendere nello scavo nonostante la presenza della macchina in azione, quindi in modo imprevedibile per il datore di lavoro, il quale aveva informato i lavoratori e aveva lasciato lo scavo una volta terminati gli scavi.

La Procura Generale e le parti civili hanno proposto ricorso avverse a tale sentenza riportando diverse motivazioni.

Tutti i ricorsi proposti sono, per la Suprema Corte, meritevoli di accoglimento e, per completezza e per estremo interesse per il nostro tema, riportiamo il punto 2 del CONSIDERATO IN DIRITTO:
 

“Le parti civili hanno lamentato la violazione dell'art. 12, comma 3, del d.P.R. n. 164 del 1956, ai sensi del quale, nei lavori di escavazione con mezzi meccanici, deve essere vietata la presenza degli operai nel campo di azione dell'escavatore e sul ciglio del fronte di attacco. Nella sentenza impugnata si legge, difatti, che "pretendere di attribuire al [DATORE DI LAVORO per OMISSIS] la responsabilità in contestazione al termine dei lavori, mentre la scavatrice era impegnata negli ultimi lavori di pulizia manuale, è un controsenso, posto che la normativa in tema di infortuni sul lavoro contempla l'obbligo di impedire un'attività viceversa costantemente ammessa dalla prassi..., così come non avrebbe senso il ruolo delle ulteriori figure pure deputate al controllo della sicurezza sui luoghi di lavoro. D'altra parte, quand'anche fosse presente un tale obbligo, la sua efficacia causale sarebbe annullata in presenza di un comportamento abnorme ed imprevedibile, quale quello posto in essere dallo Specchia nell'occasione dell'evento in esame, ovvero di lasciare acceso il motore della macchina escavatrice nell'atto di scendere dal mezzo per controllare lo scavo". Già questa censura - pregiudiziale rispetto alle altre - risulta fondata, atteso che, secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, il datore di lavoro deve vigilare al fine di impedire che si instaurino prassi contra legem, foriere di pericolo per i lavoratori. Difatti, le prassi diffuse in un'impresa o anche in un determinato ambito imprenditoriale non possono superare le prescrizioni legali, in quanto non hanno natura normativa e, seppure assurgessero a vere e proprie consuetudini, resterebbero norme di rango inferiore (v., da ultimo, Sez. 4, n. 26294 del 14/03/2018 ud.- dep. 08/06/2018, Rv. 272960 - 01, secondo cui, in tema di prevenzione infortuni sul lavoro il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell'esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli; ne consegue che, qualora nell'esercizio dell'attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi " contra legem", foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche). La decisione impugnata non risulta, pertanto, conforme a legge laddove esclude l'obbligo giuridico del datore di lavoro di impedire un'attività comunemente ammessa nella prassi contraria alla legge e fonte di pericolo per i suoi dipendenti.”

Per questo e per altri motivi, la Corte di Cassazione ritiene di dover annullare la sentenza impugnata nei confronti del Datore di Lavoro rinviando a nuovo giudizio.

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