26 apr 2022

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SENTENZE | Sez. 4 13214-2022 Un microinterruttore rotto e la compresenza di responsabilità durante un appalto




La direzione delle attività in appalto è sempre molto delicata; vediamo oggi come possano coesistere responsabilità nella gestione della sicurezza durante lavori di manutenzione.

Il fatto

Il titolare di un’Azienda è stato ritenuto responsabile della mancata manutenzione di un microinterruttore di sicurezza di una macchina miscelatrice, il quale risultavo rotto e in condizioni di permanente “chiusura”

L’imputato aveva commissionato a terzi la manutenzione straordinaria di uno dei due impianti di miscelazione di prodotti chimici in polvere.

Durante la fase di saldatura di alcuni elementi metallici vediamo un lavoratore che procedeva ad inserire all’interno della coclea stessa dopo aver rimosso la tramoggia di carico precedentemente bloccata con dispositivo a leva avvitabile.

A causa del malfunzionamento del microinterruttorre di sicurezza a leva che avrebbe dovuto garantire il fermo totale del miscelatore e quindi della coclea a tramoggia, un secondo lavoratore premeva per errore il pulsante di avvio del miscelatore mettendo così in moto la coclea che iniziando a ruotare incastrava e feriva il primo lavoratore introdottosi all’interno.

Il titolare della ditta appaltatrice, datore di lavoro dell’infortunato, veniva assolto in appello anche dall’accusa di omissione della valutazione dei rischi per attività svolte in appalto.

 

Il ricorso

Avverso alla sentenza, l’imputato (titolare dell’Azienda appaltante) ricorre deducendo i seguenti motivi (alcuni motivi sono stati omessi perché non direttamente di nostro interesse):

  • Quanto alla sentenza del tribunale si legge che per l’imputato vengono individuate le responsabilità di:
    • non aver eseguito la necessaria manutenzione del microinterruttore di sicurezza;
    • aver messo a disposizione del lavoratore la miscelatrice con un comando elettrico, i cui pulsanti non erano adeguati per il rischio di manovra accidentale, per l’assenza di un segnale di avvertimento prima della messa in moto e per la collocazione distante dall’operatore che avviava la macchina.
  • Secondo il ricorrente tali fatti vanno ricondotti all’art. 71 del Testo Unico, mentre dalla motivazione si fa riferimento all’art. 26 dello stesso relativo agli obblighi connessi ai contratti di appalto e somministrazione. “Sarebbe contestato un difetto di coordinamento, tra le imprese, per gli interventi di protezione e prevenzione al fine di eliminare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavoratori delle diverse imprese.”

 

  • L’intervento di manutenzione del macchinario oltre che la competenza sulle modalità con cui eseguire lo stesso, sarebbero spettate al Titolare dell’impresa appaltatrice e non è stata fornita prova alcuna del fatto che la manutenzione del microinterruttore avrebbe evitato l’evento. Si rileva poi che la decisione di mantenere il quadro elettrico attivo è imputabile esclusivamente al Titolare dell’impresa appaltatrice che decise di mantenere attiva l’aspirazione dei fumi durante le operazioni di saldatura. Anche il posizionamento di una cartellonistica relativa all’intervento era competenza della ditta di riparazione.

 

La sentenza della Corte

Secondo la Corte di Cassazione, benché ricorra la prescrizione del reato trova i motivi del ricorso non manifestamente infondati.

Dalla ricostruzione dei fatti rileva che il dispositivo di sicurezza del macchinario in questione era rappresentato da un microinterruttore, che avrebbe dovuto assicurare l’automatica interruzione del movimento della frusta ogni qual volta la tramoggia fosse stata rimossa dalla sua sede e quindi fosse aperto il varco verso la sottostante coclea.

Come riportato da un funzionario del servizio prevenzione infortuni, la leva che avrebbe dovuto garantire il funzionamento del microinterruttore era spezzata, in quel modo l’organo di movimento restava in funzione anche in caso di rimozione della tramoggia.

L’operaio della ditta appaltatrice e lo stesso titolare, prima di procedere alla lavorazione, prendevano contatto con un lavoratore della ditta appaltante, il quale disattivava il collegamento elettrico della macchina stessa, premendo il solo pulsante rosso denominato “arresto miscelatore”.

Il miscelatore rimaneva però attivato e allo stesso modo rimaneva in funzione l’aspiratore collegato alla macchina che doveva servire per eliminare i fumi della saldatura.

“L'intero quadro di alimentazione delle due miscelatrici -come raffigurato in atti- era composto da quattro coppie di pulsanti; ogni coppia era formata da uno verde di accensione uno rosso di arresto: la prima e la seconda coppia alimentavano il motore e l'aspiratore del primo macchinario, la terza e quarta coppia alimentavano rispettivamente gli stessi organi del secondo macchinario.

Mentre il lavoratore scendeva nella coclea, l’operaio della ditta appaltante disattivava i collegamenti elettrici di tutti i macchinari dell’azienda (essendo iniziata la pausa pranzo), attività durante la quale premeva per errore il pulsante verde di accensione della miscelatrice mettendo così in funzione la frusta all’interno della coclea dove si trovava il lavoratore della ditta appaltatrice, il quale rimaneva quindi infortunato.

Secondo la corte, il ricorrente non è in errore quando afferma che il profilo di colpa unico che la sentenza di condanna in primo grado riconosce a carico dei due imputati era la violazione dei doveri di coordinamento di cui all'art. 26 D.Igs 81/08.

Su tale aspetto si era incentrato il primo motivo del gravame del merito (cfr. pag. 3 e ss. dell'atto di appello del 27/6/2019 a firma dell'Avv. Maurizio Bonistalli). A quel motivo la Corte territoriale risponde che: "Occorre anzitutto partire dalla constatazione che la sentenza individua i profili colposi rilevanti, tanto nel difetto di coordinamento (previa informazione dei rischi) e nell'assenza di adozione di provvedimenti congiunti di contingente adozione in relazione alla lavorazione da eseguire, addebitandoli ad entrambi gli imputati, quanto nella mancata efficienza del sistema di sicurezza di blocco apposto alla macchina".

 

“Orbene, proprio l'attenta lettura del capo d'imputazione, cui rimanda la sentenza impugnata, consente di verificare la non manifesta infondatezza della doglianza del ricorrente secondo cui non vi è contestazione, in imputazione, né in fatto né in diritto, dell'art. 26 D.Igs 81/08. Nell'imputazione, oltre a profili di colpa generica, viene addebitata ad entrambi gli allora imputati l'inosservanza della norma sulla valutazione del rischio (art. 28 co. 2 D.Igs 81/08) e al solo odierno ricorrente [omissis] quella di cui all'art. 71 co. 1 D.Igs 81/08 per la mancata corretta tenuta in opera e manutenzione dei macchinari. Come si è visto in precedenza, però, non v'è traccia nella sentenza di primo grado di una qualsivoglia motivazione relativa a tali profili di colpa specifica, riscontrando il tribunale pisano solo il difetto di coordinamento ex art. 26 D.Igs 81/08. Peraltro, si imputa all'odierno ricorrente un difetto di manutenzione laddove l'attività commissionata era proprio quella di manutenzione del macchinario. Fondatamente, pertanto, l'odierno ricorrente rileva che non risponde al vero che, come afferma la Corte territoriale, la sentenza di primo grado "individua i profili colposi rilevanti, tanto nel difetto di coordinamento (previa informazione dei rischi) e nell'assenza di adozione di provvedimenti congiunti di contingente adozione in relazione alla lavorazione da eseguire, addebitandoli ad entrambi gli imputati, quanto nella mancata efficienza del sistema di sicurezza di blocco apposto alla macchina".”

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